domenica 18 settembre 2016

Deposito scorie radiattive, quanto ci costa il rinvio?




Un altro ritardo per la pubblicazione dell’ormai famigerata Carta delle aree dove sarebbe possibile collocare il Deposito delle scorie radioattive. L’ha annunciato l’altro giorno il ministro Carlo Calenda alla Commissione «Ecomafie»: si andrà probabilmente a fine 2017. Ormai la vicenda della mappa, che è solo il primo passo per costruire il Deposito dove l’Italia dovrà obbligatoriamente stipare i suoi rifiuti nucleari, sta diventando kafkiana. Se non fosse che ogni ritardo non è gratis, ma viene spesato nelle bollette degli italiani. Andiamo con ordine. A giugno 2014, dopo un’attesa di un quarto di secolo (cioè dal referendum del 1987 che fermò la stagione nucleare nazionale), arrivano i criteri per il Deposito predisposti dall’Ispra. Si attende quindi la carta per gennaio 2015. Però ci sono le elezioni amministrative di maggio. Perché riscaldare gli animi inutilmente e obbligare amministratori e partiti a prendere posizioni di cui potrebbero poi pentirsi? Si va a settembre. Ma poi si slitta ancora, perché nel 2016 c’è un altro giro di delicate amministrative. E alla fine di quest’anno ci sarà un altro delicatissimo referendum. Quindi meglio rinviare. Certo, sono cambiati i vertici Sogin, poi bisogna trovare il direttore Isin, poi c’è il Programma nazionale da completare. Un motivo si trova sempre. Nei fatti, dalla pubblicazione ci vorranno quattro anni e mezzo per arrivare all’autorizzazione e altrettanti per la costruzione. Il Deposito sarà pronto nel 2027? Chissà, problemi dei nostri figli e di altri governi. Tipico. Peccato però che dal 2019 i rifiuti mandati all’estero per essere «trattati» torneranno in Italia e continueranno a farlo fino al 2025. Dove li metteremo? Certo, si potrebbero rinegoziare i contratti con Francia e Regno Unito, allungandoli. Saranno d’accordo? E quanto ci costerebbe? Poco si sa. «Qualche decina di milioni di euro l’anno», si dice. E non dimentichiamoci, come inciso finale sul tema, che solo tenere in sicurezza i vecchi siti ci costa altri 110 milioni l’anno. I contribuenti ringraziano.
Fonte
Corriere della sera

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